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Silvia Romano, i Ros nella sede di Africa Milele: s’indaga sulle condizioni di sicurezza della volontaria al momento del sequestro

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Hard disk, telefonini e materiale informatico di ogni genere. È da qui che parte l’inchiesta, a carico di ignoti, sul sequestro di Silvia Romano. Venerdì, infatti, i Ros hanno eseguito una perquisizione - guidata dal colonnello Marco Rosi - nella sede di Africa Milele, la onlus di Fano per la quale la volontaria milanese stava operando quando è stata rapita in Kenya il 20 novembre 2018, per poi tessere liberata la scorsa settimana.

Al centro delle indagini vi sono le condizioni di sicurezza garantite all’allora 23enne (qui la sua scheda) al momento del sequestro. A comunicarlo è la procura di Roma, che sarebbe ora in possesso della documentazione acquisita dopo che i militari hanno copiato il contenuto degli hard disk e dei telefoni. Sarebbero stati i genitori di Silvia – ora Aisha, dopo la sua discussa conversione all’Islam – ad aver chiesto verifiche sulle condizioni in cui stava operando la loro figlia mentre si trovava nel villaggio di Chakama per un progetto a sostegno dell’infanzia.

Tra i nodi da sciogliere ce n’è uno in particolare: come mai la cooperante si trovava da sola al momento del rapimento? A dichiararlo ai pm è stata la stessa Romano dopo il suo ritorno in Italia. Ed è una circostanza, questa, che non si sarebbe dovuta verificare. Secondo la presidente di Africa Milele Lilian Sora, due masai armati avrebbero dovuto proteggere la sede della ong. Ma - stando alle parole della ragazza - al momento del sequestro lei si era ritrovata completamente sola.

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