comunicato stampa
Lisippo: il giudice e la statua

Probabilmente un margine di riflessione per usare al meglio le leggi, viste le difficoltà, coi rimandi da una competenza ad altre e ritorno; un lavoro straordinario e gravoso. Tutto per la nota questione sollevata da un gruppo di cittadini ed accompagnata da un lungo chiasso mediatico. Quasi sempre la propaganda presuppone gente credulona ed una bassa valutazione dei riceventi i messaggi. Chiasso che raggiunse la massima sgradevolezza con l’operazione “Cartoline al Getty”, quando la spinta mediatica si rivolse ai ragazzi delle scuole per inviare 10.000 appelli di restituzione della statua … Magari ci si poteva aspettare che gli ideatori delle cartoline, con bel gesto, partissero a sorvolare il museo per lanciar volantini … Di contro alla “Novelas del ritorno della statua”, in città ognuno sa distinguere benissimo le lucciole dalle lanterne, la verità dalle fake news.
Già nell’articolo nel doppio foglio centrale a pag. 30-31 de La Repubblica del 9/2/2014, titolato “Il lungo viaggio dell’atleta”, a proposito del bronzo conteso, sorprende la dichiarazione che è “Un figlio da riportare a casa perché è figlio nostro, di Fano e dell’Italia”. E proseguendo con le interpretazioni, sul Messaggero dell’8/5/2014- Cronaca di Fano - compare che la statua era destinata a Fano. “ se il Lisippo fosse riuscito ad arrivare in porto ( sic!) il bronzo sarebbe stato preso dai suoi legittimi proprietari e cioè i Malatesta che l’avrebbero sistemato molto probabilmente all’interno della Rocca che porta il loro nome”. Congetture, perche solo si sa che il bronzo finì in mare. E neppure se rappresenta un giovane vittorioso che si incorona; uno che sta iniziando la corsa per scagliare il giavellotto oppure la personificazione di Agone, spirito della contesa sportiva. Giova ricordare che alle cose vere non serve essere sorrette da chi ha qualche interesse a farlo: la loro verità sta in piedi da sola e tutti la vedono, come vediamo veri il giorno e la notte.
Ma si capisce benissimo da quanto diffuso per sostenere la tesi del ritorno della statua, che la stessa tesi non sta in piedi da sola e se la si sostiene con argomenti fantasiosi anche la tesi del ritorno diviene fantasiosa. Ovvio è che se la statua fosse creduta nostra, sarebbe giusto che tornasse a Fano, ma se greca dovrebbe tornare in Grecia. Occorre tuttavia riflettere che ben diversamente da Fano andò con altri bronzi in mare; a Lussino, Riace, Mazara del Vallo, Brindisi, quanto trovato fu dato alle autorità come per legge ed ora è visibile nei rispettivi musei. Ma a fronte dei nostri pescatori che nel 1964 svendettero l’opera di nascosto e di altri imprecisati concittadini non pescatori che, dopo aver visto il bronzo incrostato, tacquero, oggi c’è un gruppo di persone che nonostante, rivorrebbe l’opera, con l’aiuto della legge a Fano, proprio nella città che meno se la merita al mondo.
Non se la merita per l’accaduta svendita clandestina con la quale l’Arte venne prostituita, sia perché la disputa intrapresa ruota attorno al principio di proprietà dell’opera ma per niente attorno al principio del merito della virtù creativa del pensiero greco. E la si rivorrebbe addirittura gratis! Forse la rimozione della vergognosa realtà del bronzo svenduto di nascosto e ricomparso altrove è all’origine del delirio per il Lisippo. Così dopo Lisippo II° in copia sul molo, esiste la proposta di costruzione anche di un Lisippo-colosso, tipo Rodi/ Statua della Libertà, alto 25 metri da collocare all’ingresso del porto. La rivendicazione sembra mostrare la sua ragione per far parlare e scrivere parole e parole alle quali manca solo il ricorso al re dell’universo perché comunque decidano i giudici italiani, la nostra legge negli USA non è sovrana e chi nel 1977 comperò la statua nella giungla del mercato dell’arte per una cifra enorme ma fuori dal nostro paese, consapevole o no del suo peccato d’origine, sta a dire la svendita clandestina, non avendo nulla da temere, la terrà a Malibù.
Ma dopo che il giudice Gasparini avrà cercato la verità documentale dei fatti comprovati razionalmente ed avrà fatto una sentenza che sarà molto tecnica, “in punto di fatto”, ovvero ricostruendo in contraddittorio tra le parti per meglio analizzare le cose concretamente accadute, ed “in punto di diritto”, cioè secondo quanto le leggi prevedono, sarebbe auspicabile che, viste le complessità, il giudice, procedura consentendo, allargasse l’analisi del caso anche in “punto di cultura” ed in “punto di affetto”. Perche la grande Arte tanto esige. Quando il punto di cultura è la conoscenza della Teoria del Contesto Artistico chiaramente sistematizzata nel 1796 nel libro “Lettere a Miranda” da Antoine Quatremère de Quincy, figura epocale per la tutela di ogni patrimonio artistico. Valore del contesto già intuito da Cicerone, che avvertiva quanto le belle sculture che aveva viste in Grecia, molto perdessero la loro bellezza se portate a Roma.(pag. 198 quarta lettera del libro in oggetto) e da Ariosto; Orlando furioso, canto1°, 42/43 “Ma non si tosto dal materno stelo” (pag.195 quarta lettera).
Sosteneva l’illuminista Quatremère che l’Arte è patrimonio comune di tutte le persone del mondo a prescindere dal falso interesse di parte; sosteneva la necessità di un governo internazionale della Scienza e dell’Arte. Affermava il concetto del museo diffuso sul territorio e la necessità del rimpatrio delle opere d’arte nei luoghi di origine. Teoria del Contesto Artistico, elaborata non solamente contro le confische d’Arte napoleoniche, ed alla quale teoria par giusto estendere anche la vicenda del bronzo conteso che non è fanese ma greco ed in Grecia dovrebbe tornare per punto di cultura. Ancor oggi Quatremère ci fa notare dal suo libro la insostituibilità del contesto per la vita dell’opera d’arte, quando il suo paese di origine è il suo museo; che l’opera si può trasportare, mentre il contesto no, quando le due cose separate si svalorizzano reciprocamente. “Quale sarà, piuttosto la potenza benefica che li renderà alla loro prima patria? E’ là che il cielo, la terra, il clima, le forme della natura, gli usi,lo stile degli edifici, i giochi, le feste, gli abiti, si troverebbero ancora in armonia con i loro antichi ospiti. Ecco, se fosse permesso, auspicare uno spostamento della scultura antica, dove la ricollocherebbe il voto di un artista”(Quarta lettera, pag.195). E con la Restaurazione dopo il 1815, sarà Antonio Canova che non meno del poeta Friedrich Schiller appoggiava le idee di Quatremère a far restituire dalla Francia allo Stato Pontificio circa metà delle opere sottrattegli da Napoleone.
Mentre dal 1970, con la sua Convenzione sul ritorno in patria dei beni culturali illecitamente esportati, firmata da numerosissimi Stati, è l’Unesco “la potenza benefica che li renderà alla loro prima patria”. Quanto alla possibilità di accogliere in giudizio anche una analisi in punto di affetto, se è vero che una grande opera d’arte è un essere più vivo dei viventi, visto che tratto fuori dalla sua quiete sommersa riesce ancora dopo migliaia di anni a farci agitare, ad abbattere il muro del tempo facendoci specchiare negli echi della mente del suo autore, anche questo atleta, come opera del pensiero lo si dovrebbe considerare nato libero ed uguale all’Uomo in dignità e diritti. Se sotto le profondità di quella pelle di bronzo si nascondesse la superintelligenza di un androide dotato di diritti non meno degli animali e di emozioni, lui piangerebbe tutto il suo pianto all’idea di dover tornare nel luogo che malamente lo trattò, ma ad un tempo irriderebbe col suo dialetto antico chi lo rivuole a Fano Città del Carnevale. E se un giudice volesse interrogarlo entrando in quel suo pensiero di statua, lui saprebbe dire chi fu suo padre, la mente che attraverso le mani lo trasportò nella cera e dove lo fece nascere nel bronzo.
Ora che il giorno della sentenza si avvicina- confisca o no-, pur se sappiamo che la statua resterà dov’è, solo in Grecia può terminare per alta coscienza culturale ed in spirito di fratellanza “ Il lungo viaggio dell’atleta”. Così risulta anche chiaro che la statua del giovane non è molto importante per il nostro territorio, semplicemente perche non è nostra, ovvero non è stata ideata e fusa da un fanese. Resta a noi legata la sua vicenda del tutto particolare. La lezione amareggiante che se ne ricava, il rimorso per la passata follia ed il ricordo della sua bellezza, restano le sole “vendette”che la statua ci ha fatto per le gravi offese arrecatele. Occorre riflettere che, se Fano città vitruviana ne fosse venuta in possesso, si sarebbe arricchita di una ben rara perla culturale, consistente non nel trattenere l’opera, come la propaganda vorrebbe ma nel restituirla a Sicione. Le immagini artistiche sono anche un legame tra le popolazioni e da sempre diffondono la reciproca conoscenza attraverso la bellezza, svolgendo una funzione de brutalizzante.
Quindi l’Arte è veicolo di pace. Volere l’opera per il nostro museo e sognare il sogno inutile ed incolto della “Battaglia per il Lisippo”, vuol dire disconoscere la contraddizione insanabile dei due termini, arte e battaglia. E continuando a far questo non si offre l’immagine di una colta, rivisitata città vitruviana. Piuttosto la città va liberata in fretta da ogni chimera e non resa sua prigioniera. Solo il valore di un esempio internazionalmente alto, “alla Quatremère” avrebbe reso Fano degna della sua antica gloria romana. Evidentemente questa grande figura della tutela artistica è ancora sconosciuta ai consiglieri culturali dei sindaci fanesi che si sono susseguiti dal ritrovamento ad oggi … Non resta che chiedere scusa- meglio tardi che mai- alla città di Sicione per quanto fatto da un gruppo di concittadini in quell’orribile 1964 e dedicarsi a far tornare almeno qualcosa delle produzioni artistiche nate a Fano, dai fanesi buttate al diavolo. Ma questa è una storia ancora tutta da scrivere.

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