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Bomba a Fano, missione compiuta. I militari che l’hanno fatta brillare: “Il mare era pessimo, ma volevamo chiudere questa storia”

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Seguire il protocollo, le regole. Ma, all’occorrenza, superare i limiti per il bene della collettività. È questa l’estrema sintesi dell’operazione compiuta in mattinata dalla marina militare. La loro missione? Far brillare l’ordigno MK6 rinvenuto martedì 13 marzo sulla spiaggia di Sassonia, a Fano, durante i lavori per il prolungamento dello scolmatore. Mare agitato, vento, pioggia: alle condizioni sfavorevoli gli undici palombari del gruppo operativo subacqueo della marina hanno risposto buttando il cuore oltre l’ostacolo. Il primo tentativo è andato a vuoto, ma hanno accettato la sfida e si sono immersi ancora. Rischiando di nuovo la vita. Missione compiuta. Il resto è storia.

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L’intervento - che ha attirato una folla di curiosi lungo il litorale - non è stato affatto una passeggiata. Che le condizioni meteo non sarebbero state ideali era già in preventivo. Le scelte decisive, però, si prendono sul momento. E sono quelle a fare la differenza. “Il primo approccio è fallito - ha spiegato il capitano di corvetta Therry Trevisan, capo del team incaricato del brillamento - perché la corrente era fortissima e la visibilità praticamente a zero. In un primo momento, l’operatore non è riuscito ad arrivare fino in fondo e ad agganciare l’ordigno”. Qualcuno avrebbe rinunciato, pensando alla propria incolumità e rimandando il tutto. Loro no. Loro – gli stessi militari che lo scorso mercoledì hanno provveduto a trasferire in mare la bomba - volevano chiudere una volta per tutte questo capitolo. Scendendo di nuovo, per scrivere finalmente la parola fine. “Volevamo porre fine ai disagi dovuti al divieto di navigazione e di sorvolo aereo - ha detto Trevisan –, per questo abbiamo tentato una seconda immersione e siamo riusciti ad agganciare l’ordigno. Con un pallone lo abbiamo fatto salire fino a circa 6 metri dalla superficie, poi abbiamo fatto partire una micro-carica per allontanare la fauna della zona”. Prima un piccolo scoppio, dunque, un monito per gli animali nei paraggi. Poi il grande botto, che dalla spiaggia si è avvertito appena, ma l’onda lunga della bomba ha fatto sì che in molte case pavimento e vetri abbiano tremato per un istante.

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Tra un’esplosione e l’altra sono trascorsi all’incirca dieci minuti. Con la seconda, quella decisiva, si è alzato un muro d’acqua di circa trenta metri. Appena uno spruzzo, se osservato dalla riva. Ma chi era più vicino può confermare che il getto è stato alto, a testimonianza dell’effettiva pericolosità dell’ordigno. Probabilmente la prova che l’evacuazione della scorsa settimana – che ha coinvolto 23mila persone, circa un terzo dei fanesi – non sia stata poi così esagerata. Di certo buona parte della città ha tenuto il fiato sospeso, e lo stesso vale per i militari. “Intervenire su un ordigno esplosivo di così grandi dimensioni e innescato con un congegno a tempo è molto particolare”, ha detto Trevisan, precisando che l’adrenalina si fa sentire e che l’attenzione per ogni gesto è sempre massima. Anche questo è prova di professionalità, da parte di uomini che, soltanto lo scorso anno, hanno reso inoffensivi oltre 22mila ordigni bellici, senza contare i 1360 dall’inizio del 2018.

La loro è stata una settimana no stop. “Non abbiamo fatto in tempo a smaltire le emozioni di quella notte che siamo tornati subito a Grado per continuare un’importante bonifica di ordigni esplosivi in un relitto austriaco della prima guerra mondiale”. Poi, stamattina, allo scadere delle 144 ore - tempo stimato entro cui la bomba di Sassonia sarebbe potuta esplodere -, sono tornati nella Città della Fortuna per eliminare del tutto il residuo bellico che aveva fatto perdere il sonno a molti fanesi. Cittadini che, ora, sono invitati a segnalare ogni oggetto sospetto in cui dovessero incappare, senza toccarlo e senza indugiare.

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