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Bomba a Fano, il racconto dei militari: “Fatto unico, abbiamo rischiato la vita”

“In venticinque anni di carriera è la prima volta che mi capita”: parole dello stesso Trevisan, a dimostrazione dell’eccezionalità del caso. “Non è stato assolutamente semplice”, ha concluso dopo aver comunque definito questa esperienza “bellissima” e in grado di regalare una grande soddisfazione.
Ma cosa rende l’MK6 così speciale? Come noto, si tratta di una bomba d'aereo inglese risalente al secondo conflitto mondiale. È lunga 1 metro e 10 centimetri, è larga 30 e pesa 500 libbre. Vale a dire 250 chili, di cui 150 soltanto di esplosivo. Quello contenuto al suo interno. Quello che ha convinto chi di dovere a spostare un terzo della città un po’ più in là, in direzione monte. Ma i numeri dicono poco della pericolosità dell’ordigno. Il fatto è che era stata accidentalmente innescata dopo il suo ritrovamento di martedì mattina, durante i lavori di scavo per il completamento di uno dei due scolmatori di Sassonia. L’innesco, detto “a spolette differite”, ne fa una bomba a tempo. L’accensione della carica esplosiva avviene entro 144 ore, ed è impossibile prevedere il momento esatto del botto. Ecco il perché del grande esodo, che ha portato al tutto esaurito delle aree di accoglienza e ha indotto i parroci a mettere a disposizione alcuni loro spazi. Migliaia e migliaia di persone fuori dalle loro cose, con lo spauracchio della bomba dormiente e sdraiata ancora lì, dove di solito ci si sdraia per prendere il sole.
A fare chiarezza sulla gravità della situazione è stato l’artificiere Andrea Podestà del reggimento Genio Ferrovieri dell’esercito italiano. “Il pericolo era dato dal fatto di non avere certezze sulla sua possibile esplosione. A un certo punto – ha detto - ci siamo trovati a un bivio. Avremmo potuto allontanare la popolazione per un tempo molto lungo – le famose 144 ore, vale a dire 6 giorni (ndr) - per poi intervenire in sicurezza, ma alcune persone non si sarebbero potute spostare. Quindi abbiamo optato per un intervento diverso. Noi e la Marina abbiamo messo a rischio le nostre vite. Una volta condivisa questa scelta abbiamo agito in totale cooperazione”. In altre parole, i militari hanno sfidato la sorte in prima persona. Hanno toccato la bomba, per poi spostarla nel più breve tempo possibile. Con il rischio di saltare in aria alla prima vibrazione di troppo.
Martedì gli uomini del gruppo subacqueo della Marina Militare si trovavano a Grado. Stavano lavorando su un relitto della prima guerra mondiale contenente un numero elevato di ordigni. Poi la chiamata. Emergenza a Fano: tutti in auto, via che si parte. Secondo Trevisan “il rischio era soprattutto quello di far toccare la bomba sul fondale”. Le vibrazioni, appunto. Il mare calmo e il meteo favorevole hanno dato una mano, ma il pericolo era comunque massimo. Come dire che non ci fosse poi chissà quale scelta. L’alternativa sarebbe stata quella di lasciare i residenti della zona rossa – così come tutti i presenti nel raggio di circa 1800 metri – con l’incubo della bomba impazzita proprio sotto casa.
Una volta ultimata l’imbragatura con una specie di rete, l’ordigno è stato collegato a una cima di rimorchio e – grazie a una staffetta tra artificieri e marina - portata lì dove non può nuocere ad alcun umano. In mare aperto, a quattro chilometri di distanza da dove, tra pochi mesi, si cominceranno a piantare ombrelloni. Ci si è mossi piano, il più possibile, per evitare quella minima vibrazione che avrebbe potuto provocare l’esplosione. Ora l’ordigno si trova in una zona interdetta, segnalata, riconoscibile. La bomba potrebbe esplodere da sé entro i fatidici sei giorni, altrimenti la si farà brillare. Prima di procedere, i militari si erano preparati adeguatamente, in modo di concludere l’operazione al più presto e ridurre al minimo i rischi. Hanno cominciato alle 5 del mattino, e in tutto ci sono volute due ore e mezza. Le più lunghe di tutta una vita. Anche per chi maneggia bombe ogni santo giorno.

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