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comunicato stampa
La prima sfida alla città sulla cultura è la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico

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Quando venne inaugurata la scuola elementare Filippo Montesi a S.Orso – attorno all’anno 1999 - si vide, cosa rara ma non sconosciuta, che i gradini per salire verso gli ingressi principali avevano la pedata molto lunga e inclinata verso il basso.

La facciata a pilastri ripetuti innanzi agli stessi ingressi ricordava qualcosa di già visto a Fano in un precedente edificio scolastico; così la tinta rosso mattone e le due sporgenze curve per il rigiro delle scale interne, ai lati della facciata, rimandavano all’analoga soluzione già presente su viale Gramsci, similmente fatta a finestrini vetrati sovrapposti come nella nuova scuola di S.Orso. Appena entrati anche il pavimento, a fasce ripetute con toni di grigio, mostrava quella stessa discendenza figurativa ed il gioco ormai chiaro strappava un sorriso… Che i dettagli descritti esistono ciascuno lo può verificare bastando la curiosità, gli occhi ed il proprio giudizio. Somiglianze casuali oppure quegli indizi erano intenzionali? Rimane il fatto che il ritorno di immagini già presenti nella famosa scuola dedicata a Filippo Corridoni che l’architetto Raffaele Panella inserì nel suo progetto di S.Orso, dicesi parafrasi ed è praticata da secoli in tutte le arti; un’operazione che non va confusa con la copiatura dell’ingegno altrui ma diviene un omaggio affettuoso ad un precedente autore giudicato meritevole di una rifioritura come si fa rinnovando i nomi ai neonati, quasi fossero i morti a dirigere i vivi. Dunque, Panella ha voluto ricordaci con discrezione, per immagini permanenti che l’autore della Corridoni, Mario De Renzi, andava celebrato con dei segnali di attenzione rivolti alla città che possiede, dal 1935, quell’opera così filologicamente citata: invitarci alla riflessione su quel primo complesso scolastico coi due giardini esterni e quello interno: ricordarci il valore come prima costruzione razionalista apparsa in città come un colpo d’aria nuova. Un progetto integrale che l’autore disegnò e seguì con cura anche nei capitolati di appalto in ogni dettaglio, arredi compresi. Un’opera che fece sentire vecchio tutto il resto mettendo i progettisti locali nella possibilità di confrontarsi con le novità importate dal De Renzi e che segna l’inizio del capitolo degli edifici razionalisti fanesi ancor oggi non valorizzati. Un’opera che documenta la diffusione del Razionalismo, un movimento progressista con l’idea di arte per tutti, per la prima volta adottata nella storia in grazia della responsabilizzazione sociale dei progettisti. Un modo di progettare collegiale in fatto di creatività, di architettura e di nascente design, adeguato alle società industrializzate. Concezioni profondamente innovative in breve diffusesi nel mondo ed ancora vitali. E ricompaiono nella modernità razionalista, proprio per meglio costruire il futuro, i requisiti del classico vitruviano che si sviluppano dalle utilitas, da tutte le funzioni umane ragionate nella pianta della costruzione, per pervenire alla venustas, alla bellezza come evoluzione tridimensionale di quelle utilità, saldando tutto mediante la firmitas. La nostra scuola Corridoni, non casualmente, possiede in origine anche una evoluta struttura antisismica. Per tanto - ed è veramente tanto - quest’opera si inscrive da sola nel circuito dell’architettura a diffusione internazionale. Dunque, un complesso non poco importante ma che a Fano si è “imbattuto male”: c’è sempre in ogni progettista la speranza che la qualità del suo lavoro possa servire a far amare l’opera ai destinatari assicurandone in tal modo conservazione e sopravvivenza ma qui Mario De Renzi purtroppo non riuscì a prevedere che gli amministratori e la cittadinanza potessero, in più modi e tempi, mancare di rispetto al valore del suo edificio ed alla luce umana di Filippo Corridoni; infatti questa scuola è senza dubbio il luogo dove più si è prolungata l’erosione verso l’arte, trasformandolo in oggetto di “mattanza artistica” iniziata nel dopoguerra con la distruzione del giardino esterno con fontana e poi continuata a rate su altre parti della scuola. Come fosse, l’arte, non una madre ma una schiava bella ed incolpevole da sfruttare per soldi nel suolo e sottosuolo, mediante l’affitto alla società della benzina. E fu un sindaco fanese a prendere quella decisione senza vergogna. Poi da quell’esempio non mancarono altri che fecero uscire dalla profondità del loro pensiero, attuando quello che avevano appreso circa la salvaguardia dei beni culturali ed artistici: altrimenti come spiegarci gli incomprensibili, ripetuti attacchi a quel complesso architettonico? Amministratori con la striscia tricolore messa di traverso nei confronti dell’arte, tutori all’incontrario, diminuirono la qualità del complesso e con ciò lo spirito di orgoglio con il quale i cittadini si identificano nel loro patrimonio artistico. Perché, oltre alla vicenda del “giardino della benzina”, col tempo vennero sostituiti tutti i banchi e “buttati via” quelli molto ben costruiti su progetto De Renzi e si vedrà se qualche esemplare riemergerà nei musei come accaduto con le piastrelle dei Piattelletti . Scomparvero le aiole fiorite sotto le due facciate ai lati dell’ingresso, asfaltate in cambio di una quindicina di posti auto. Venne alterata la conformazione semplicissima all’altro giardino esterno e fu costruito l’edificio –“il falso De Renzi” - dell’ ex Patronato scolastico, in via Montegrappa, occupando buona parte del giardino interno: edificio imitato per falsa estetica dalle forme originali della scuola ed imposto visivamente senza alcun rispetto dell’iniziale equilibrio tra parti costruite e quelle lasciate vuote; un’ invadenza ai fini della lettura dell’opera d’arte che in futuro qualcuno dovrà pur rimuovere. Un’indifferenza al progetto di autore dove si vede che, diversamente dalle lievi parafrasi di S.Orso, i nipoti non rendono onore ai nonni. Poi le tre scale di sicurezza nel giardino, inesistenti in origine e ora obbligatorie, rivelano una risposta sbrigativa e grossolana alla necessità, sia nel materiale, adatto ai soppalchi dei capannoni industriali, sia per la linea, non contribuiscono a salvaguardare la qualità visiva del giardino, inizialmente apertissimo all’aria e alla luce. Infine il caso dei tre portoni d’ingresso in legno e vetro incorniciato in anticorodal, sostituiti con altri in alluminio e tutti gli infissi rifatti con telaio maggiorato forse per sostenere il doppio vetro: e quando mai un carrozziere si permette di sostituire una maniglia di automobile con una diversa da quella rovinata? Ed il tutto nonostante l’articolo 9 dello statuto comunale che proclama: “ Il Comune riconosce i valori ambientali e paesaggistici del territorio con l’assieme del suo patrimonio archeologico, storico ed artistico come beni essenziali della comunità e ne assume la tutela come obiettivo primario della propria azione amministrativa”: una strada maestra da seguire ma che di rado viene imboccata se, dopo la saggia decisione del sindaco Massimo Seri di restituire l’ex giardino Corridoni alla città, ci sarebbe chi chiede almeno parte di quell’area, questa volta a parcheggio. Ma come si concilia tale richiesta con chi crede di amare Fano proponendo di usare una porzione di pertinenza di quell’opera d’arte, per qualche guadagno, svilendone con l’inserimento di una funzione “utile”, proprio quel vuoto “inutile”volutamente lasciato a verde dall’autore per far risaltare le geometrie rosso mattone e bianco della costruzione tricolore? Perché dopo la liberazione dalla benzina può iniziare il risanamento del complesso. Ed è dalla escavazione critica della vicenda storica e dell’anima di questa scuola, senz’altro la più ricca di valori architettonici tra quelle del Moderno italiano, ma ripetutamente danneggiata per mano fanese che può proseguire la valorizzazione del patrimonio artistico cittadino. Se chi amministra vuole lanciare una sfida alla città sulla cultura e su quale cultura a Fano, è proprio col tema della restituzione della bellezza architettonica ed urbanistica alla città, come iniziato con la Corte malatestiana, che può essere data la migliore risposta alla città che, ricordiamolo sempre, è la città di Vitruvio da 2000 anni. Una restituzione di bellezza, quella esterna del monumento della Corridoni, ormai possibile e non difficile. Quel luogo non lo si può correggere con altri errori, “ affinché non sia estirpato e guasto dalli maligni e ignoranti ”.