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comunicato stampa
Femminismi: 'La vittima è 'colpevole' di essere vittima? Noi non ci stiamo!'

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2033

violenza

Sembra impossibile ed è invece una vecchia storia, quella secondo cui, chi è stato vittima di una violenza ha la sua grande parte di responsabilità nei fatti. Il meccanismo è quello della violenza comunitaria che prevede – a livello simbolico – un “capro espiatorio”.

Il gruppo che si riconosce attorno a chi è stato colpito si fa più forte e unito, questo accade a partire da un fatto: la vittima è vittima perché un po’ se lo è voluto e adesso che ha fatto un favore al gruppo – ha neutralizzato la violenza interna – il gruppo stesso – che siamo noi, le riconosciamo il suo ruolo, e diciamo a tutti gli altri che un po’ se lo è cercato: “non doveva trovarsi nel luogo della violenza se proprio non voleva essere colpita” … Del resto una vittima non c’è mai senza il suo carnefice. Il rapporto tra gli esseri umani e la violenza di cui sono capaci in gruppo, è stato sviscerato dall’antropologia e fa parte di un meccanismo profondissimo e ancestrale, è qualcosa che sta prima della politica, prima dei diritti, qualcosa che dobbiamo conoscere.

Le donne, che in Italia hanno lavorato per decenni su una revisione della Legge contro la violenza sessuale (approvata poi nel 1996), sanno molto bene che questo meccanismo del “capro espiatorio” funziona perfettamente quando la vittima è una donna. La complicità del simbolico patriarcale sul consenso della vittima ha rappresentato – da sempre – lo scoglio maggiore per raggiungere un risultato legislativo rispettoso delle donne, della loro soggettività, del loro corpo. Studiare i documenti processuali per i reati di violenza sessuale è come entrare in un film che si ripete sempre, le posizioni da parte della difesa degli stupratori sono sempre quelle: la vittima era consenziente, la violenza – pertanto – non sussiste. Si sono lette miriadi di storie del tutto campate in aria, ma giustificate da questo tipo di complicità, fino ad arrivare all’assurdità di provare nelle Sentenze che bambine di undici anni – erano state violentate ripetutamente da uomini adulti – ma in fondo erano parzialmente consenzienti perché qualcuno diceva di averle viste per strada intente a togliersi la verginità da sole … Chiedere alle storiche delle donne potrebbe servire a farsi un’idea di come la connessione tra simbolico della violenza – che necessita di un capro espiatorio – e giustificazione patriarcale della violazione di una donna, vanno da sempre braccetto. Ma chi vorrebbe essere un capro espiatorio? Chi vorrebbe il corpo scorticato dalle ferite, la propria volontà violata dalla brutalità degli altri, la propria vicenda buttata in pasto ai giornali, discussa ovunque? Chi vorrebbe sentire dire della propria figlia o della propria amica, o semplicemente di un’altra donna: “ ma sarà vero?”, “perché queste ragazzine vanno in giro tutte nude? Se la cercano”, oppure “ perché si è trovata da sola in quel luogo a quell’ora di notte?” … La risposta è una sola: NESSUNO. Nessuno di noi, padri, madri, insegnanti, ragazzi e ragazze, vorrebbe che una loro cara venisse apostrofata così … Eppure se stiamo zitte/i di fronte a chi continua a dire queste cose, siamo anche noi complici …

Per questo di fronte allo stupro compiuto a Fano durante la notte bianca, è nostra responsabilità quella di ribadire piena solidarietà alla ragazza e a sua madre. La posizione strumentale della difesa è davvero inaccettabile perché utilizza il meccanismo della vittima consenziente, che è l’ultimo appiglio ma quello più potente da un punto di vista simbolico, per una difesa che non ha altro su cui fondare le proprie argomentazioni:
pertanto discredita la vittima e tenta di ridurla ad una che in fondo in fondo questo ruolo se lo è voluto e che le è piaciuto. Indipendentemente dalla vicenda giudiziaria, nel cui merito non possiamo entrare, risulta evidente che il nostro ruolo di cittadine e cittadini responsabili, che hanno animato l’Assemblea femminista auto convocata del 29 giugno, è quello di vigilare perché nessuna complicità sia accettata rispetto a tali posizioni della difesa, che ledono la dignità e il rispetto di chi soffre e di chi vuole che questa sofferenza non sia un senso di colpa indelebile.

La colpa è di chi ha compiuto la violenza, non di chi l’ha subìta.

Monia Andreani
Fedora Ruffini
Leandro Foglietta
Francesca Palazzi Arduini
Luigina Roberti
Monica Tinti
Claudia Romeo
Melanie Segal
Stefano Dionigi
Simona Ricci
Lia Didero
Giorgia Sestito
Cristiana Nasoni



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