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comunicato stampa
Un odg sull'appello internazione per la liberazione di Sakineh

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Sakineh

E’ incredibile come nel 2010 possiamo trovarci di fronte a casi come quello di Sakineh, la donna iraniana di 43 anni condannata alla lapidazione per adulterio nel 2006.

Nonostante le battaglie per la garanzia dei più elementari diritti umani e civili, nonostante la pena di morte sia osteggiata dalla gran parte degli Stati della comunità internazionale, oggi continuiamo a trovarci di fronte a casi di persone, per lo più donne, condannate alle morti più atroci, come quella per lapidazione, a causa di leggi efferate basate per lo più sulla Sharia, la legge islamica integralista. Oggi parliamo di Sakineh, ma voglio ricordare come già un anno fa questo Consiglio Comunale approvò un Ordine del Giorno in sostegno dei diritti umani e della libertà in Iran: anche in quel caso, l’occasione venne purtroppo dalla violenta repressione da parte del governo iraniano nei confronti delle manifestazioni studentesche di dissenso nei confronti del regime, repressione durante la quale perse la vita la giovane Neda.

Come non ricordare poi anche il caso di Amina, la giovane mamma nigeriana anch’essa condannata alla lapidazione per adulterio nel 2002, nei confronti della quale ci fu un enorme interessamento della comunità internazionale, delle istituzioni e delle associazioni per la tutela dei diritti umani. I numerosi appelli che seguirono questa campagna di sensibilizzazione, portarono all'assoluzione della donna nel 2003; ma a 7 anni di distanza, la situazione della donna continua ad essere drammatica: salvata dalla lapidazione, sono oggi l'indifferenza, la povertà e la fame, a mettere a repentaglio la sua vita. Ecco quindi che non basta solo spendersi affinché la vita di queste persone sia salvata da sentenze così cruente: è necessario un intervento più radicale, volto ad eliminare la pena di morte e la tortura dall’ordinamento giudiziario dei Paesi che oggi ancora le prevedono come forma di condanna. La battaglia per i diritti umani non si fa saltuariamente. Per una Sakineh di cui traspare la triste storia, ci sono nel mondo tante altre donne, troppe, che anonimamente subiscono violenze e torture intollerabili. Secondo le ultime stime in Iran ci sono circa 150 donne in attesa di essere lapidate.

Con Sakineh, la Repubblica Islamica Iraniana vuole esaminare la reazione della comunità internazionale nei confronti del ricorso a una pratica primitiva come questa. Se dovesse ritenere che l’impatto delle campagne internazionali non è poi così forte, allora procederebbe senza indugi alla lapidazione di tutte queste donne. È inammissibile che nel terzo millennio siano considerati interlocutori della collettività internazionale Paesi che ammettono ancora la lapidazione. Invece il mondo reagisce a questa barbarie di regime solo quando si lega a un nome. La violenza di tanti regimi è così antica e feroce che, anche per difendersene, le donne sono arrivate a ricorrere a mutilazioni genitali, cioè la rinuncia alla sessualità. Non possiamo convincerle ad abbandonare definitivamente quelle pratiche se non combattiamo i regimi che infieriscono sulle donne tutte le volte che si affaccia il loro diritto alla femminilità. Se la democrazia fatica ad essere esportata, come esperienze ancora in corso dimostrano, il suo seme può tuttavia essere piantato, ma va tenacemente coltivato. E’ necessario che la battaglia per Sakineh sia l’ultima legata ad un nome, e che si apra finalmente la guerra alla violenza sulle donne ovunque, perché quella sulle donne è violenza capace di tutto e buona a nulla. Una violenza da estromettere da qualsiasi Paese con una grande azione di dignità internazionale, e non con intermittenti singhiozzi.

Non dobbiamo però commettere l’errore di pensare che queste barbare pratiche siano legate solo ed esclusivamente al mondo islamico. Facendo un breve excursus sui Testi Sacri, è infatti escluso che la lapidazione derivi dal Corano, che esplicitamente non la prevede mai; piuttosto, essa era invece prevista dalla Bibbia per il caso di adulterio, ma Cristiani ed Ebrei hanno abbandonato tale pratica duemila anni fa quando, come riporta il Vangelo, Gesù, con la famosa frase “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” rivolta alla donna adultera, impose l’abbandono della feroce pratica. Tantomeno Maometto, ritenuto dall’Islam come l’ultimo dei profeti, avrebbe voluto ripristinare una così barbara sanzione tanto limpidamente eliminata dal “suo” predecessore Gesù. Piuttosto simili efferatezze sono il risultato dell’integralismo, del fraintendimento di messaggi positivi derivanti dalla religione che vengono traviati e tramutati in comportamenti negativi, feroci, mortali. Come ben sappiamo, dato che è proprio notizia di questi giorni, proprio l’integralismo e l’estremismo portano anche a fatti incresciosi come quello dell’aggressione ai cristiani in India.

Passando però a quello che definiamo come “mondo occidentale”, il cosiddetto “mondo civilizzato”, non è che le cose vadano tanto meglio: è noto a tutti infatti che la pena di morte e le torture non sono applicate solo nel mondo islamico, ma fanno parte dell’ordinamento giudiziario anche di Paesi come Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia. Dobbiamo condannare allo stesso modo anche le violenze perpetrate in questi Stati, perché la battaglia per il rispetto dei diritti umani è vero che non ha religione, ma non ha nemmeno bandiera. Non dimentichiamo poi che lo Stato della Città del Vaticano ha definitivamente abolito la pena di morte dalla sua Costituzione solo nel 2001 per merito di Papa Giovanni Paolo II. Concludo con una frase di un altro Papa, Benedetto XVI, che durante la cerimonia del suo insediamento ha affermato che “La libertà di uccidere non è vera libertà ma è una tirannia che riduce l'essere umano in schiavitù”: ecco perché oggi, appoggiando e votando favorevolmente questo ordine del giorno, in realtà ci impegniamo non solo ad aderire all’appello internazionale per l’immediata liberazione di Sakineh, ma auspichiamo anche che ogni Paese che si definisce civile elimini dal proprio ordinamento giudiziario norme discriminatorie e violente, come anche la pena di morte.



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